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Si può sentire, spesso e profondamente, un disagio, quasi un senso di soffocamento quando ci confrontiamo con una Natura prepotente e dominante. Anche se amiamo tutto ciò che è incontaminato, da europei, siamo abituati agli spazi preservati, alle aree protette, ai biotopi, agli ecosistemi ricostruiti, ad una “wilderness” in scala ridotta. Ci sentiamo in difficoltà quando immersi in spazi aperti in cui la sola legge rimane quella naturale, da sempre. L’uomo non è arrivato ovunque e questo è in un certo senso consolante. Il nostro paesaggio è un collage di elementi che cambiano in continuazione, così come cambiano i nostri stati d’animo e le sensazioni che ne derivano. Esistono luoghi sulla Terra in cui il ritmo emotivo è diverso, in cui il tuo orizzonte si perde nel verde della prateria e, se vuoi camminare, lo fai ma senza arrivare in un luogo.
La Pine Ridge Reservation (Wazí Aháŋhaŋ Oyáŋke in lingua Lakota) è situata a sud ovest dello stato del South Dakota, US; è un’area di circa 9000 km2 in cui risiedono circa 30000 Nativi Americani, governati dal Consiglio Tribale della Tribù Lakota degli Oglala.
Il mito racconta che la tribù di Pte Oyate, la nazione del bisonte, ricevette il dono di uscire dal grembo della Madre Terra per divenire Ikce Wicasa,gente comune. Il luogo attribuito a tale mito si identifica con la Wind Cave, la grotta del vento nei pressi di Hot Springs, all’interno dell’omonimo Parco Nazionale. La grotta è stata mappata per circa 212 Km, è la quarta grotta più estesa al mondo e si caratterizza per le particolari concrezioni di calcite boxworks, uniche al mondo. Questo luogo sacro per i Lakota deve il suo nome alle forti raffiche di vento percepibili al suo ingresso. ma all’interno della grotta vi è solo pace e silenzio.
La storia della riserva, invece, ripercorre quella di molti altri territori abitati dai Nativi: dal 1868 era parte della Great Sioux Reservation ma nel 1874 il generale Custer, in spedizione nel rigoglioso territorio della Black Hills poste ad ovest lungo il confine con lo stato del Wyoming, e incluse nel territorio della giovane Riserva, nell’intento di cercare nuovi territori da militarizzare, si imbatté in preziosi giacimenti di oro. Da allora cominciarono lunghissime e inutili trattative per la vendita dei territori al Governo Americano. All’alba del 1876 il Governo legittimò in modo sommario e contro il volere delle tribù Lakota, che consideravano sacre le Black Hills, l’invasione dei cercatori d’oro, giustificando per legge anche la rappresaglia militare contro i Nativi. Si sfaldò la Great Sioux Reservation e i Sioux vennero spinti a valle, nell’ostile territorio tra Badlands (‘Makȟóšiča’; letteralmente: mako, terreni e sica, male; quindi “terre inospitali”) e prateria. Fu istituita la Pine Ridge Reservation. Là dove il vento muove la terra.

Pine Ridge Reservation1
Questo territorio delimitato ad ovest dalle Black Hills e ad est dall’imponente corso del fiume Missouri è un enorme “lago” di sedimenti trasportati dalle Colline Nere a partire dall’Oligocene (circa 36 milioni di anni fa). Il processo di sedimentazione che ne derivò è piuttosto giovane da 500000 a 28000 anni fa, epoca in cui le acque di grandi laghi si ritirarono lasciando il posto ad un paesaggio piuttosto simile a quello di oggi. Certo, geologicamente è un processo recente e questo rappresenta per noi una fortuna che ne possiamo ammirare lo svolgersi giorno dopo giorno. Riguarda tuttavia tempi in cui l’uomo non abitava ancora queste terre; gli ultimi dati ci dicono che i primi insediamenti Nativi sono da collocarsi in un periodo variabile tra 15000 e 14000 anni fa. L’acqua ha “spogliato” le Black Hills dall’immensa quantità di sedimenti trascinata dai fiumi e ha permesso l’affioramento del granito antico 2 miliardi di anni e caratteristico di quelle montagne; così ricco di oro ma anche così facilmente lavabile dal sangue, una roccia che dimentica e che fa dimenticare. Questo movimento sembra, in un certo senso, presagire la diaspora Lakota del XIX secolo e il destino di quel popolo appare evidentemente legato, oggi, alla precarietà del territorio a cui fu destinato.
La terra qui cambia, lo fa per la pioggia, lo fa per il vento. Le montagne delle Badlands hanno le cime spesso appiattite là dove vince l’incessante vento oppure appuntite come sottili e fragili sentinelle sul nulla, là dove è invece la pioggia a modificarle. Le montagne rappresentano chiaramente il susseguirsi dei vari processi di sedimentazione che testimoniano con le loro magnifiche strisce di colore. Le forme arcigne e levigate delle Badlands lasciano il posto alle sterminate praterie in cui il vento muove incessante erba e arbusti sentenziando su chi e su cosa vorrebbe opporsi al regime naturale: “non è luogo per chiunque altro, albero o uomo, questo non è il vostro luogo”.
Qui sorge Kyle (Phežúta ȟaká; la “medicina che proviene dai rami”), la città in cui siamo stati, in cui abbiamo lavorato e incontrato una realtà povera quanto non ci aspettavamo. Questa è la regione in assoluto più povera degli Stati Uniti d’America e qui l’aspettativa di vita non supera i 50 anni. Una realtà che ci pone un duro confronto anche con chi siamo noi. Cosa sapevamo degli Indiani d’America? Grande popolo grande Anima, Grande Spirito. L’incontro con la Pine Ridge Reservation fa vacillare molte delle nostre convinzioni e ci pone domande che intuiamo essere complesse e forse troppo lontane per noi. O forse risposte e consapevolezze arriveranno col tempo, in un tempo diverso da ora.
In un’esperienza umanitaria l’aspettativa di agire per costruire qualcosa di buono per gli altri viene soppiantata dal vissuto di un incontro intenso e scomodo con questi stessi altri. Abbiamo lavorato sodo, incontrato i ragazzi e i bimbi Lakota, ci siamo confrontati con maestri di lingua e tradizioni locali, abbiamo parlato con la gente di strada. Un grande patrimonio di esperienze che vi racconteremo presto, ma c’è anche stato l’incessante vento a ricordarci che le leggi umane in quei luoghi vengono dopo, che le vicende storiche, per quanto importanti e sanguinose, rappresentano un istante isolato che, forse, cade dimentico in mezzo alla maestosità dello scenario, che il respiro della Terra può avere un altro ritmo.
Gli Oglala oggi appaiono annichiliti dal potere della Natura e dal tradimento degli esseri umani, passivi di fronte al mondo inteso come destino ineluttabile. La nostra sensazione è che oggi l’anima di popolo degli Oglala sia stata trasportata anch’essa via dal vento. Vogliamo si conserv, credere però che quest’anima si conservi e si rifugi ancora timidamente, nel grembo della terra.Grande Madre, là dove cessa il vento cerca riposo.
Mosè Nodari, Silvia Zaffino

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